FRATERNITA' ORTODOSSA "CIRENEI DELLA GIOIA"
QUESTA MATTINA 9 GIUGNO 2011 S. EMINENZA MONS. PIETRO KYR ESARCA PER L'EUROPA OCCIDENTALE DELLA CHIESA ORTODOSSA AUTOCEFALA UCRAINA CI HA LASCIATI PER LA VITA ETERNA




* 12/12/1951
* 09/10/2011
Tutti i sacerdoti in Italia sotto l'omoforion dell'Arcivescovo Pietro Kyr apprendono con commozione la morte di S. Eminenza. Avvertono con più viva intensità i sentimenti di stima, affetto e gratitudine che hanno sempre avuto verso di Lui. Lo seguono con la preghiera piena di fiducia, mentre ci lascia per entrare nel mistero di Dio. L'Arcivescovo Pietro era dotato di vasta esperienza di governo e di intelligenza acuta e pronta nel valutare le situazioni concrete, seppe fare una lettura sapienzale della vita ecclesiale e sociale innestando il suo ministero in una consapevole e profonda spiritualità. Ricercava il colloquio paterno con i sacerdoti e tutti coloro che lo avvicinavano: molti hanno trovato in lui un compagno di viaggio, oltre che un consigliere sapiente e autorevole (tra questi il sottoscritto). Mons. Pietro nell'accostarsi ai problemi e avviarli a soluzione, sapeva valorizzare le competenze e il contributo di tutti coloro che avvicinava: li ascoltava attentamente e, ottenute le più ampie soluzioni possibili procedeva immediatamente a individuare prospettive di lavoro, formulando proposte assai pertinenti. Se si vuole caratterizzare l'intera attività di S. Eminenza Pietro Kyr si deve certamente dire che essa fu un intreccio di sapienza evangelica e di sagezza umana, un amalgama di realismo storico e di aperture profetiche, un'armoniosa sintesi di azione e contemplazione.
Mons. Pietro Kyr ha cercato di tradurre nella sua esistenza la figura profetica del buon pastore "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conosco me...e offro la mia vita per le pecore" (Gv 10, 14-15).
Ora S. Eminenza prolunga questo suo impegno nella comunione eterna con il Cristo Buon Pastore e ci attende un giorno nel presbiterio eterno del cielo dove insieme alla SS. Trinità potremo celebrare le glorie di Dio.
Con le anime dei giusti defunti, o Salvatore, concedi il riposo all'anima del tuo servo il Vescovo Mons. Pietro Kyr, introducendolo nella vita beata presso di Te, o amante degli uomini. Concedi, o Signore, il riposo all'anima del tuo servo Mons. Pietro Kyr nella tua sede beata dove riposano tutti i tuoi servi, poichè tu solo sei immortale.
E tu pura e intemerata Vergine, che intatta generasti Dio, prega per la salvezza della sua anima.
Mons. Francesco (Scullino)
09 giugno 2011
Festa di Eusebio Vescovo di Samosata ieromartire






S. E. MONS. PIETRO KYR CONTINUERA' A VIVERE PERCHE' I PROFETI NON MUOIONO.
Ci rendiamo conto ora,che S.E. Mons. Pietro Kyr ci ha lasciati,quanto la Sua presenza fosse feconda e incoraggiante.Era incoraggiante perchè la Sua fede e il Suo entusiasmo si trasmetteva a chi li ascoltava o lo incontrava,e creavano una simpatia ed una sintonia ,che lo seguivano come una guida,anzi,come un testimone.Perchè la forza della Sua Parola stava nell'essere espressione di una vita vissuta nell'attenzione e nel servizio ai più poveri.
S.E. Mons. Pietro Kyr ha dato al mondo una fulgida e quotidiana testimoniaza,animata da uno straordinario senso del divino,incarnata con sapienza,sui difficili versanti della pace,della giustizia,del dialogo intereligioso. La Sua carica umana era contagiosa,un tesoro dato a tutti.La centralità della vita,la predilezione per gli ultimi,l'attenzione al tutto,l'apertura alle novità costituivano le coordinate fondamentali delle Sue scelte. Da ogni vicenda,anche la più complessa,sapeva estrarre la vera essenza.Possedeva il senso della storia,pur attento alla cronaca. Seguendo il Cristo si fermava di persona con qualsiasi persona,era sempre disponibile all'incontro. In un rapporto mai convenzionale,sempre autentico,diventavano suoi i problemi,le preoccupazioni,i drammi,le tristezze,le speranze e le gioie della gente.Nessuno,incontrandolo,sia pure in modo sfuggente,se ne andava a mani vuote;si affacciava almeno la speranza nel suo animo,nei suoi orizzonti di vita. Amando soffrendo,il Suo cuore non aveva confini,aveva un coraggio indomito,pronto a tutto,infinita era la Sua pazienza per la persona umana.Ad ognuno indicava il cielo ma nel contempo la terra.In dialogo quotidiano con la natura,cantando con stupore il creato,sapeva cogliere il bello,faceva emergere il buono nei rapporti umani,il giusto nelle soluzioni. I fatti,nella Sua vita,precedevano le parole,la cultura s'incarnava nell'azione.Tutto aveva un significato per Lui,anche il più piccolo granello di sabbia,il cui valore bisognava scoprire. E' stato,giorno dopo giorno,costruttore di pace,generatore di speranza,difensore dei poveri,fratello degli ultimi.
"Defuntctus adhuc loquitur",dice di Abele la lettera agli Ebrei (11,4).Anche di S.E. mons Pietro Kyr,possiamo ripetere che "parla anche ora che è morto".Anzi,parla più di prima;perchè la Sua sofferenza e la Sua morte,esemplari,ed il trionfo del Suo funerale,sono stati un'indimenticabile lezione di fede . Certo,la Risurrezione,per sè e per gli altri,passa attraverso la passione e la morte.E S.E. Mons Pietro Kyr ha sofferto tanto,con serenità e consapevolezza.E forse negli ultimi istanti della Sua agonia ha ancora ottenuto l'ultima grazia che aveva chiesto.Come il buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle;come il grano di frumento,che muore sotto terra per dare molto frutto.
Sono certo che chi come Mons Pietro Kyr ha sofferto,conosce molte lingue.Egli comprende le parole di chi cerca conforto implorando.Dio avrà bisogno di S.E. Mons.Pietro Kyr come interprete per dire loro della speranza oltre il dolore,degli anni di guarigione,del suo amore. Perchè Dio abbraccia il nostro dolore.
Mons. Francesco (Scullino)
Arciprete mitrato
18 giugno 2011
Festa dei SS Cosma e Damiano di Roma taumaturghi e anagiri
L'agitarsi festoso delle palme e degli ulivi dà il suo "colore" esterno alla domenica che precede la Pasqua.
Non deve però prevalere l'aspetto del folklore. La Chiesa con l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, ci ricorda l'inizio del dramma della Redenzione. Con questa celebrazione si entra nel mistero, cioè nel dramma della passione, per viverlo e così entrare nel rinnovamento pasquale.
Si tratta dunque di entrare nel Mistero del Golgota.
Ne ascoltiamo commossi il racconto nella versione di Matteo. Ma al di là dei fatti, bisogna entrare nell'anima del racconto. Ci sono tre temi - chiave che sono come tre finestre sul grande sacrificio: dolore - peccato - amore.
IL DOLORE
Anzitutto un dolore sconfinato, senza limiti. La croce prima che a dare la morte, mira a spremere da un essere umano tutta la sofferenza di cui è capace. Sul piano morale poi è la suprema umiliazione: "il più abietto supplizio degli schiavi" dice Cicerone. Segno di maledizione secondo la Bibbia: "L'ha fatto per noi maledetti" dice arditamente San Paolo: come Dio abbandonato dagli uomini, come uomo abbandonato da Dio. Gesù muore con questo grido sulle labbra: "Dio mio, perchè mi hai abbandonato?"
Eppure anche l'agonia e la croce sono il segno di un abisso di sofferenza, che sconfina con l'infinito perchè è Dio stesso che soffre nella carne umana. E' come quando in certi mari infini si crea alla superficie delle acque un mulinello che nasconde catastrofi in profondità, nel cuore delle acque.
"Fermati e guarda se c'è un dolore come il mio" ci esorta la liturgia.
IL PECCATO
Se poi ci si chiede di tanto dolore, c'è una sola risposta, quella data già da Isaia: "è stato trafitto a causa delle nostre colpe".
C'è dunque una perfetta equazione tra Croce e peccato. Il contenuto di questo mistero sconfianto di questo dolore sono le mie colpe: i tradimenti, le vigliaccherie, le quotidiane indolenze.
La Croce ha due sbarre, segno di contraddizione: e l'opposizione della mia volontà a quella di Dio che l'ha creata.
Se fossi stato meno orgoglioso, la corona di spine sarebbe stata meno pungente. Se fossi stato meno egoista, la Croce sarebbe stata più leggera. Se avessi commesso meno peccato, il cammino del calvario sarebbe stato più breve.
Ho trapassato con chiodi le mani che si sono levati per benedirmi; ho trafitto i piedi che mi hanno cercato per le vie tortuose del peccato; sono bruciate dall'arsura le labbra che spesso mi hanno chiamato, invano.
Finché ci sarà al mondo una volontà umana che si oppone a quella divina, la Croce sarà una realtà attuale. Perchè Gesù continua la sua agonia fino alla fine del mondo. La Croce è l'altare del mondo.
L'AMORE
E' tuttavia l'ultima definitiva spiegazione della Croce è l'amore. Un amore che si sacrifica e s'immola. Soffrire e morire toccava a noi, ma l'Agnello di Dio ha preso su di se tutto questo carico.
Si è fatto peccatore dei nostri peccati, e perciò è morto della nostra morte. "Non c'è amore più grande..." ci ha avvertiti Gesù.
Giovanni introduce infatti la passione con queste parole:
"avendo amato i suoi che erano nel mondo, gli amò fino alla fine": fino all'estremo limite. Se l'amore a Dio non fosse costato nulla, forse non ce ne saremmo convinti sapendo quanto costa a noi uomini amare. Ma davanti alla croce ci sgorga dal cuore il grido di Paolo: "mi ha amato e ha dato se stesso per me".
Da quella tragedia è nato il mistero incessabile della nostra salvezza. Quella che sembrava una definitiva sconfitta, si è risolta in trionfo.
Nel corpo del Figlio Unigenito dilianato sulla croce, la maledizione è distrutta, siamo invasi dalla vita del Risorto, riconciliati tra noi e con il Padre, trasformati a immagine del Cristo glorioso.
Ma tutto questo è estremamente esigente: bisogna accettare di soffrire con Lui "compiendo quello che manca alla passione di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa"; bisogna imparare ad amare con lo stesso amore con cui Cristo ci ha amati e ci ama.
Mons. Francesco
Parrocchia SS. Madre di Dio in La Spezia - di Mons. Francesco
Vima della Cappella privata SS. Madre di Dio
Vima della Cappella privata SS. Madre Dio
Vima della Cappella privata SS. Madre di Dio
Vima della Cappella privata SS. Madre di Dio
all'altra sponda,,...;
...vorrei o Signore
prima di ammainare le vele,
regalare un pò di pesce,
pescato nel lago
di Genezareth, e un pò
di pane e di vino,
al povero fratello
viandante che da Gerico
ritorna a Gerusalemme.
LA CHIESA, LA FRATERNITA', UN POPOLO
La ragione per cui, quasi sette anni fa, ho intrapreso il cammino verso il sacerdozio ortodosso era il desiderio di costruire la Chiesa, cioè una comunità di persone davvero libere perchè legate soltanto a Gesù Cristo nella vera fede.
Oggi questo desiderio me lo ritrovo dentro molto più forte e più netto di allora e ciò è dovuto essenzialmente a due motivi:
1) perchè sò che, senza Cristo, non avrebbe alcun senso vivere;
2) perchè vorrei che tutti potessero sperimentare la Sua presenza nella vita così come lo è stato per me.
Ma soltanto dopo il grave incidente stradale ho capito che il mezzo che Lui ha scelto per farsi incontrare è la Chiesa Ortodossa; perciò voglio fare la mia parte per edificarla attraverso le strade e le circostanze che Lui vorrà.
Per essere fedele a questo dono e a questo compito ho chiesto sempre l'aiuto della preghiera e il conforto dell'amicizia a quanti mi sono fratelli nella fede.
Vivo in una cittadina con circa 15000 abitanti, dentro una provincia con circa 160000 abitanti, e i fedeli ortodossi che frequentano la parrocchia sono veramente pochi.
Sono pochi, perchè piccola è la nostra comunità ortodossa (poco più di duemila i residenti ortodossi in provincia); per più della metà per i quali la Chiesa Ortodossa è qualconsa di più che un nome, è sono pochi anche perchè, col passare degli anni quella dei veri cristiani sembra diventare una specie in via di istinzione.
Usando l'immagine impropria mi permetto di sottolineare che essi hanno bisogno di una dose eccezionale di grazia! Infatti i fedeli ortodossi devono combattere due nemici micidiali, sui quali si può vincere solo con l'aiuto di Dio: il primo è il muro del conformismo che ha il volto dell'indifferenza e della superficialità. Il nostro mondo è segnato da un conformismo impressionante, dentro a cui la libertà dei singoli finisce per affogare. Ci si adegua passivamente alla maggioranza e poichè da qualche tempo la maggioranza ha pensato di abbandonare la Chiesa, è molto difficile non conformarsi.
Tanto più che, nella gran parte dei casi, giovani e bimbi, sono religiosamente orfani senza padre ne madre.
Il secondo nemico è molto subdolo e diabolico del primo. E' la pretesa di dichiararsi ortodossi ma "a modo prorprio", "secondo la propria interpretazione", quasi che a noi spettasse farci giudici di Cristo, come se Cristo dovesse convertirsi alle nostre idee e non piuttosto il contrario. Così si accetta dell'ortodossia solo quello che non va contro le mode del momento, o quello che non va contro il proprio comodo.
La "libertà di coscienza" è la formula magica con cui macherare nobilmentela voglia di salire sul carro delle mode e delle mentalità via via vincenti, restando magari formalmente ortodossi.
Infine al meno per accenno e sempre in nome di un sano realismo, va detto che in mezzo a noi ci sono anche confortanti segni di grazia soprattutto c'è un "piccolo resto" che giustamente se la ride del mondo, dei conformisti e progressisti di tutti i tempi e tutti i colori.
C'è un piccolo resto fatto di gente semplici, contenta di essere cristiana, di appartenere alla Chiesa Ortodossae di obbedire ai suoi pastori, felice di quella gioia che conosce soltanto chi a Cristo di apre, senza più volersi difendere.
Sono convinto che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all'alba abbiamo visto svanire.
Io, per esempio, mi figuravo una splendida carriera.
Volevo diventare santo. Cullavo l'idea di passare l'esistenza fra i poveri in terre lontane, aiutando la gente a vivere meglio, annunciando il vangelo senza sconti, e testimoniando religiosamente il Signore risorto.
Ora capisco che in questo sogno eroico forse ci entrava più l'amore per me stesso che l'amore verso Gesù. Ora, solo ora comprendo, insomma, che in quegli slanci lontani della mia giovinezza la voglia di emergere prevaleva sul bisogno di lasciarsi sommergere alla tenerezza di Dio. E' il difetto di quasi tutti i sogni irrealizzati: quello di partire con un certo tasso di orgoglio. E' il mio non era esente di questa tara di fabbricazione.
Ciò non toglie, però, che ritrovandomi oggi in fatto di santità neppure ai livelli del mezzo busto, mi senta nell'anima una grande amarezza.
L'unica cosa che mi interessa oggi come ieri è annunciare il vangelo di Gesù, anche nelle circostanze in cui tale annuncio può risultare scomodo e contrario agli interessi e alle parti fondamentali, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La fede è vera quando è un giudizio su tutto, perchè un uomo, ogni uomo, sempre giudica in base alle cose che ha visto; anzì desidera questo giudizio, vuole paragonare, vuole confrontare tutto ciò che vive, vede e incontra con quella cosa l'unica che non può dimenticare perchè è la più bella che ha visto: e da quella bellezza vorrebbe che fosse invasa tutta la vita. Ma c'è una cosa, c'è un aspetto che distingue la bellezza cristiana da ogni altra: è la drammaticità. La bellezza ortodossa è drammatica perchè mentre splende non acceca al punto da impedirci di vedere quel niente che siamo; è drammatica perchè, mentre perdona, non annulla a fatto la coscienza del nostro male; mentre ci dona una forza che non è nostra non ci esime dall'impegnare tutte le energie della volontà, dal rischiare liberamente in prima persona; mentre è misericordiosa, è insieme un spada a doppio taglio che arriva fino al midollo delle ossa, che arriva a stanare tutte le ambiguità fin nelle pieghe più riposte del cuore. E' una bellezza, ma drammatica. Questo è stato il segno per me che non mente, che non delude, ne inganna.
LA CHIESA VIVA
UN UNIVERSO FATTO DI PICCOLE COSE
"Un'anima sola è già una parrocchia troppo grande per un sacerdote". Questa frase, non ricordo di quale santo è, mi ritorna in mente ogni volta che qualcuno interrompe i ritmi ad alta tensione dei miei progetti pastorali complessivi e viene, in cerca di luce, a raccontarmi i suoi problemi interiori strettamente personali.
Mi è concesso così, quasi per una specie di contrappeso ai miei eccessi teorizzanti, di entrare in quell'universo fatto di piccole cose che poi ti accorgi costituiscono l'unità molecolare anche degli avvenimenti più grandi della storia
Di questi anni di sacerdozio mi portavo dentro un sacco di tormenti ad alto profilo relativi all'impegno dentro la Chiesa Ortodossa in Italia. Ero preoccupato per l'andatura lenta delle nostre vicende ecclesiali. Convinto come sono che il prete debba pensare alla grande, mi interrogavo sulle strategie da attuare, andavo alla ricerca di svolte audaci da attuare, ero tutto preso per trovare una chiesa canonica che ci accolga, cercavo di delineare progetti di impegno su largo respiro.
Mi è bastato stare ad ascoltare la gente, per comprendere come una sola persona che ti sta davanti merita la considerazione che si deve a tutto un popolo che viene a sentire le tue prediche. E non serve a nulla pretendere di guadagnare il mondo intero, se poi, per la tua trascuratezza, si perde un'anima sola. E che la parrocchia, più che dai suoi confini territoriali, e delineata da un profilo di un volto.
Si, a partire da quei giorni la mia parrocchia si chiama Giuseppe, Pietro, Maria........e io ho attenuato i miei ardori di grandi manovre, avendo capito che la storia della salvezza più che i registri della parrocchia prediligge i perimetri delle case, più che sui i carteggi delle scrivanie ti disegna sui i pianerottoli dei condomini, più che i linguaggi spumati della festa parla i dialetti della ferialità, più che le panoramiche dei pensieri sfiora i volti concreti delle persone, più che per rettilinei globali procede per piccoli segmenti.
MARIA ICONA DEL MIO PELLEGRINARE
Ascoltando l'invito di padre Justine Parvu di Petru Voda, mi sono messo alla ricerca.
In questa ricerca, che dura ormai da parecchi mesi, mi è parso di leggere come la ripetizione di quello che ha fatto Maria. La Vergine Santa è per me " l'icona dell'itineranza ", di questo andare, della transumanza, del mio passare da una terra all'altra - trans humus - cambiare territorio.
Maria è la Vergine del mio cammino e io sono in cammino, la Vergine dalle mete sicure, la Vergine che non ha speso inutilmente i suoi passi, la Vergine che sapeva dove veramente andare.
A me piace moltissimo invocare la Santa Madre come la Madre del cammino.
NELLA FRATERNITA' SI VIVRA' LA POVERTA' COME METODO
L'unico futuro della fraternità è quello di essere "deboli".
Una Chiesa povera, semplice, mite. Che sperimenta il travaglio umanissimo della perplessità. Che condivide con i comuni mortali la più lancinante delle sofferenze: quella dell'insicurezza. Una Chiesa sicura solo del suo Signore, e per il resto debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per vocazione.
Purtroppo la Chiesa che ho incontrato, è una Chiesa arrogante. Non cercavo una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali, che fa ostentazioni muscolari con cipiglio dei culturisti.
Fin dalla mia adolescenza cercavo una Chiesa disarmata, che si fa compagna (cum-panis) del mondo. Che mangia il pane amaro del mondo. Che nella piazza del mondo non chiede spazi propri per potersi collocare, non chiede aree per la sua visibilità compatta e minacciosa, così come avviene per i tifosi di calcio quando vanno in trasferta, a cui la città ospitante riserva un settore dello stadio.
Una Chiesa che, pur cosciente di essere il sale della terra, non pretende una grande saliera per le sue concentrazioni o per l'esibizione delle sue raffinatezze. Ma una Chiesa che condivide la storia del mondo. Che sà convivere con la perplessità. Che lava i piedi al mondo senza chiedere nulla in contraccambio, neppure il prezzo di chiedere a Dio, o il pedaggio di andare alla Santa Liturgia, o la quota da pagare senza sconti e senza rateazioni, di una vita morale meno indegna e più in linea con il Vangelo.
IL PROGETTO
Considerando che nel territorio delle regioni liguri e toscane vi sono numerosi fedeli ortodossi, e avendo il dovere di offrire loro un servizio di assistenza liturgica e religiosa, come è loro diritto, ho immaginato un progetto pastorale denominato "Fraternità Ortodossa Cirenei della Gioia".
Questa fraternità nasce da un grande desiderio: quello di mettere a disposizione di un vasto pubblico, specialmente giovanile, la possibilità di fare un'esperienza di convivenza ortodossa, perchè questo è il suo scopo principale, oltre a quello di accompagnare e dar forza, giorno per giorno alla fede, alla speranza e alla carità di ogni fedele. Questa fraternità vuole infondere coraggio ai cristiani ortodossi, sostenere le scelte importanti, dar colore e spessore ai sogni, indicare la strada di un'ortodossia audace, coerente, libera da compromessi e spalancata alla speranza e alla gioia. Perchè vivere insieme vuole commuovere, intenerire e liberare. Perchè vivendo insieme si può dare il fuoco vivo della carità ad ogni giornata, sotto il costante invito al coraggio e alla fiducia nel Signore perchè solo Lui può muovere scelte importanti. La fraternità si propone di vivere l'ottimismo evangelico, quello "di sperare contro ogni speranza".
Hanno bussato alla mia porta diverse famiglie di fedeli ortodossi ucraini, bulgari, rumeni ed anche italiani che vivono sulla costa ligure e toscana; di attivarmi per attività sociali nei confronti degli immigrati ortodossi e di tutti i bisognosi.
Da tempo ho in mente questa fraternità basata su una convivenza di clero uxorato e celibe, dove la legge della fraternità è l'amore.
Fin da ora hanno dato la loro adesione i reverendi sacerdoti: Mons. Emilian, padre Nicodim, padre Efrem, padre Luca, padre Giovanni, e l'ipodiacono Camerlo.
I padri si impegnano già da ora a mettersi a disposizione per volorizzare a pieno l'opera della fraternità, celebrando la Divina Liturgia e organizzando iniziative culturali per riprendere l'antico cammino dei padri ortodossi.
Attraverso la presenza costante dei sacerdoti prevedo la creazione, l'organizzazione e l'animazione di un circuito religioso, incentrato sull'accoglienza, in grado di attivare pellegrinaggi dai paesi ortodossi e consentire anche turisti dall'Italia per mezzo di visite giudate.
Valorizzare le fantastiche risorse culturali e naturali del luogo, insieme alla crescita sociale della fraternità, attraverso l'offerta turista delle regioni. Per queste ragioni la fraternità è altresì disponibile ad installare al suo interno un'Accademia Teologica, per chi semplicemente desidera conoscere il patrimonio culturale dell'ortodossia, divenedo sede di regolari corsi, sede di conferenze e di incontri di studi ortodossi.
Considerata la stabile presenza di sacerdoti ortodossi, che faranno della fraternità un centro di spiritualità ortodossa, celebrando i divini misteri e amministrando sacramenti, sarà possibile anche l'allestimento di un laboratorio di iconografia, aperto a tutti coloro che vorranno frequentarlo per apprendere l'arte della scrittura dell'icona la cui importanza è centrale per la teologia ortodossa.
I moduli saranno eseguiti da maestri provenienti dai paesi ortodossi che prenderanno in considerazione la storia dell'iconografia sviluppatasi nell'Italia, quando un tempo non lontano era una terra ortodossa e pullulava di monaci e santi.
Inoltre è mia intenzione progettare e attuare un Campo Santo ortodosso nel territorio adiacente alla Chiesa, in quanto in Italia non mi risulta esserci cimiteri ortodossi.
Infine, i sacerdoti e le loro famiglie assicurerranno ospitalità a chi desidera pernottare presso la fraternità, curando al contempo periodi corsi di ritiri spirituali per chierici, religiosi e laici, anche cristiani non ortodossi.
Insomma vorrei una pastorale unitaria capace di ricapitolare le differenze, che se tenute costantemente sott'occhio e applicate con docilità di spirito, faciliteranno alla nostra fraternità il suo compito istituzionale, che è quello di camminare nella storia come icona della Trinità.
Proprio perchè l'icona non ha una funzione puramente didattica, come i quadri e gli affreschi nella chiesa romana.
L'icona ha soprattutto una funzione sacramentale: rende presente, cioè, la realtà raffigurata. Significativa l'affermazione del II Concilio di Nicea: "l'icona è per noi l'occasione di un incontro personale, nella grazia e nello spirito, con colui che essa rappresenta. Più il fedele guarda le icone, più si ricoda di colui che è rappresentato e si sforza si imitarlo.
L'applicazione è di una pregnanza unica. La nostra Fraternità, essendo icona della Trinità, deve essere per chi la guarda "occasione di un incontro personale". Anzi, più uno guarda la nostra Fraternità, più deve essere ricondotto al mistero trinitario, col desiderio di vivere le conseguenze.
Quindi contemplando la Santissima Trinità, dobbiamo vincere la lacerante divisione di questo mondo.
Perchè per comunione non si intende un certo vago sentimento, ma una realtà organica che richiede forma giuridica e che insieme animata dalla carità.
Sappiamo tutti che il sacerdozio ministeriale è un servizio reso dai presbiteri, con l'annuncio della parola, con la celebrazione dei sacramenti, e con la testimonianza della carità, perchè i fedeli vivano il loro sacerdozio Regale e Profetico che è, in buona sostanza, una Fraternità di comunione. In altri termini, sono essenzialmente i ministri della comunione. Sovraintendono, cioè la Chiesa locale sia sempre più autentica icona della Trinità.
Ne deriva che i presbiteri per primi devono vivere la comunione, pena il fallimento radicale del loro servizio.
Non c'è da illudersi: se all'interno di una Chiesa il Colleggio Presbiterale non vive sul modulo "Colleggio Trinitario", l'icona intera è condannata a deperire.
Da qui la preghiera perchè il Signore tenga riuniti nella carità i suoi presbiteri, perchè si vogliano bene tra di loro, si stimino a vicenda, portino gli uni i pesi degli altri. Solo se essi sono uniti nell'amore potranno tenere unita la Fraternità.
Maria Santissima, Vergine della Memoria, dell'Ascolto e del Progetto, aiuti la nostra Fraternità, "Icona Trinitaria" di cui Lei è la bella copia, a non deludere le attese di Dio.
10 MINUTI PER PENSARE
10 MINUTI PER PROGETTARE
10 MINUTI PER REALIZZARE
___________________________
30 MINUTI IN + PER I GIOVANI
Se sei politico...umanizza le strutture
Se sei un insegnante...ricerca ancora
Se sei un giovane...considera la creatività
Se sei un genitore...apriti a tutti i giovani
Se sei un religioso...comunica meglio i valori
Se hai pensato, progettato, realizzato qualcosa...
comunicalo anche a noi
Mons. Francesco (Scullino)
SITO DOVE SORGERA' A DIO PIACENDO IL MONASTERO DELLA FRATERNITA' ORTODOSSA CIRENEI DELLA GIOIA

E' ricordo
E continua chiamata
La Quaresima è un'occasione eccezionale per salvare in ognuno di noi "l'uomo interiore", così spesso dimenticato, che, per opera della Passione e della Risurrezione di Cristo, viene creato nella giustizia e nella santità vera.
Cari fratelli e sorelle,
saluto nel Signore la Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina che è in Italia, tutte le sue comunità, tutti i miei fratelli nel sacerdozio, tutte le famiglie. Saluto tutti coloro ai quali è caro il ricordo di Gesù Cristo, nostro Redentore manifestato nella liturgia della Grande Quaresima, quanti, attraverso questo beato ricordo, desiderano prepararsi a partecipare al Mistero pasquale della Sua Morte e Risurrezione; per ottenere i frutti salvifici della conversione e della grazia nello Spirito Santo.
Quaresima è ricordo. Essa ricorda la via, che ci ha indicato il Signore con il Suo digiuno di quaranta giorni all'inizio della Sua missione messianica. Ci ricorda anche che ognuno di noi - in qualsiasi punto si trovi del Suo cammino terreno - deve incessantemente convertirsi a Dio, deve discostarsi dalla "triplice concupiscenza", dalle "opere della carne" che "oppongono resistenza allo Spirito", e fare posto ai "doni dello Spirito", seguendo Cristo nella preghiera e nel digiuno, per quanto ne è capace. Se quindi ci sentiamo in quella unità con Cristo, che ci richiama alla memoria lo stesso nome cristiano, non possiamo non ammettere che questo periodo eccezionale nella vita della Chiesa non si distingua in qualche modo nella nostra vita.
Osserviamo almeno l'attuale, e già tanto attenuata disciplina del digiuno. In quanto è possibile, aggiungiamo spontaneamente opere di astinenza e qualche rinuncia a noi stessi senza le quali non esiste una vera padronanza di se.
Viviamo meglio lo Spirito di penitenza. E' indispensabile per questo una misura di preghiera più ampia del solito, la meditazione della Passione del Redentore, ed infine l'impegno delle molteplici opere di amore del prossimo, a cui la nostra epoca offre tante occasioni. Un'epoca in cui milioni di uomini di adulti e di bambini muoiono letteralmente di fame, mentre contemporaneamente in altri Paesi ed ambienti fioriscono o il culto dei beni voluttuari e la sazietà materialistica.
Ricordiamo che il Cristo della Grande Quaresima è soprattutto il Cristo che ci aspetta in ogni uomo sofferente, Colui che ci stimola all'amore e giudica secondo ciò che abbiamo fatto ad uno solo di questi nostri fratelli più piccoli (Mt 5,40).
La Grande Quaresima è quindi non solo un ricordo, ma una continua chiamata. Entrare in questo lungo periodo e viverlo nello Spirito che ci ha trasmesso la più antica e sempre viva tradizione della Chiesa Ortodossa, vuol dire: aprire la prorpia coscienza. Permettere a Cristo stesso di aprirla con la parola del Suo Santo Vangelo, ma soprattutto con l'eloquenza della Sua Santa Croce.
La Grande Quaresima è quindi un'occasione eccezionale per salvare in ognuno di noi " l'uomo interiore " (Ef 3,16), così spesso dimenticato che, per opera della Passione e Risurrezione di Cristo, viene creato "nella giustizia e nella santità vera"(Ef 4,24).
Non passi questo tempo per noi senza il Sacramento della Penitenza, senza l'esame di coscienza, senza il pentimento dei peccati ed insieme il proposito di miglioramento.
Il Cristo della Grande Quaresima è colui che dalla Sua Santa Croce, nella Passione e Morte, in un certo senso, l'ultima suprema parola dell'amore di Dio verso l'uomo, del Padre verso il figlio prodigo. Solo questo Amore è creativo; solo esso ha la forza di salvare l'uomo e il mondo. Non rimaniamo ad esso indifferenti. Cerchiamo di corrispondervi. Cerchiamo questa risposta nel nostro cuore. Cerchiamola nella vita della Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina in Italia nel corso di questa Grande Quaresima.
Mons. Francesco (Scullino)
SPERANZA: essere segni di Cristo nel mondo
Il cristiano vive oggi immerso nell'incertezza e nella paura. Violenza, alienazione, solitudine ed emarginazione sono la condizione e il respiro quotidiano dell'uomo. Tanti valori sono in crisi e questo fatto induce in uno stato di prostazione, che non addirittura di disperazione.
Ma il cristiano ha davanti a sè un avvenire e porta in sè una speranza, di cui deve rendere conto agli altri.
Egli, infatti, porta dentro di sè la fede di essere e di creare, e la spinta ad incrontrare gli altri e costruire insieme un mondo nuovo. E tutto questo trova conferma nel Vangelo. Dio provvede, ama e stima ogni uomo. Non solo, ma affida a ciascuno il compito di estendere l'opera del suo amore creatore e rendentore.
Per questo ogni cristiano, che sente la chiamata a collaborare con Lui e ad essere la speranza più vera e più autentica dei suoi fratelli, trova nelle parole del profeta incoraggiamento e sprone: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perchè sei degno di stima e io ti amo"(Is 43,4).
Ma che cos'è la speranza? Non è certamente un sentimento dello spirito che sia fine a stesso, e neppure una dimensione, anche se gioiosa, dell'uomo. E' piuttosto riporre la fiducia in Qualcuno, in Cristo. Cristo, infatti, è il "si " più grande alla speranza dell'uomo; è la risposta alle sue esigenze. Oggetto della speranza viva è la salvezza, la risurrezione, la vita eterna, la visione di Dio e la sua gloria. Non è quindi un benessere terreno, ma l'avvento del regno di Dio che trasformerà i nostri corpi e il mondo intero; oggetto è Dio solo e suo figlio Gesù.
Io credo che l'impegno debba spingerci più in là; verso Qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso Qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge a salire. Sono dunque nelle mani di un Altro, anche se non lo voglio, il quale deve aver fatto Lui grande ogni cosa, anche quelli che mi fanno paura. E deve aver fatto anche me, se riesco a scoprirlo quando pare che si sia dimenticato di me. Chi ha Qualcuno davanti non si ferma più e nessuno lo ferma, neanche la morte, perchè Cristo è più forte della morte e ci attende, a braccia aperte, al termine di ogni strada, perchè è sempre davanti.
Essere cristiano e quindi apostolo di Cristo vuol dire essere testimone di speranza, segno di Cristo, nostra unica speranza. La presenza di Gesù e la sua vittoria sul male, specialmente nei momenti in cui sembra che tutto sia perduto, costituiscono il punto fermo della vita di ogni autentico cristiano.
La sua vita piena di speranza lo rende consapevole che è sempre possibile superarsi e andare avanti.
Qualunque difficoltà, superata con amore, è una nuova possibilità di assimilarci a Cristo, nostra speranza.
Mons. Francesco (Scullino)
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Carissimo padre _ _ _ _ _ _ _ _ _ ,
la lealtà è, a detta di tutti, una virtù difficile. E' un pò come la naturalezza del grande attore di teatro (come te) che sembra tanto naturale ed è invece frutto di un faticoso sforzo e di un'arte consumata.
Essere leali significa mantenere la parola data senza cadere nei tortuosi ragionamenti del proprio tornaconto. Significa essere coerente sempre, anche quando dal di fuori o dal di dentro di noi vengono pressioni contrarie. Significa essere veramente se stessi, non il proprio istinto o il proprio orgoglio e nemmeno lasciarsi influenzare dalla mentalità superficiale corrente, pronta a cambiare opinione o linea di condotta senza tenere conto del richiamo della coscienza.
La lealtà è sicuramente un valore. Anche chi non è leale sa tuttavia apprezzarla nel prossimo e arriva persino ad esigere negli altri quello che non trova in se stesso. La lealtà finisce così con l'essere molto apprezzata negli altri ed è per questo che molte volte ci si lamenta che non esista.
La vorremmo forse perfetta in essi e, non trovandola completa in loro finiamo col giustificare noi stessi quando agiamo slealmente.
La fedeltà è appunto come la naturalezza dell'attore. Richiede sforzo e sacrificio, esige esercizio costante, suppone una carica ideale capace di resistere ad ogni ostacolo e ad ogni esperienza contraria.
Ma è un elemento portante di una società che voglia continuare a vivere specialmente nell'ambito ecclesiale. Perciò, nonostante le difficoltà che si incontrano nel tentare di realizzarla, è necessario porre ogni sforzo per essere leali. Ne guadagneremo noi e trarrà vantaggio l'intera società, bisognosa di modelli da imitare.
Ma forse il motivo di tante forme di slealtà consiste nell'assenza di convinzioni su una verità che possa essere considerata indiscutibile. Si ha infatti la sensazione che molti abbiano perduto il senso della verità (purtroppo anche in alcuni uomini di chiesa), ossia di qualche cosa che esiste per se stessa e non può essere soggetta a mutamenti di alcun genere. Se esiste la verità, non è lecito tradirla per alcun motivo. Se invece tutto è relativo è la verità e soltanto un'invenzione degli uomini, non si vede perchè non si possa contrapporre ad essa un'altra verità inventata da noi.
Esiste una verità morale, ossia una linea di condotta che è l'unica vera, fondata su una legge superiore, che nessun uomo potrà mai cambiare o ridurre a suo piacimento.
Se gli crediamo, non potremo più giustificare la mancanza di lealtà. Dovremmo riconoscerci sostanzialmente falsi, nemici di quei valori che affermiamo a parole. E dovremo riconoscere che, se giustifichiamo la nostra lealtà, siamo sleali con noi stessi, ossia, falsi su tutta la linea.
Ce l'ho con te, carissimo padre _ _ _ _ _ _ _ _ _ , che non hai il coraggio di uscire dall'ambiguità, e ti rifiuti di staccare la presa da quell'assurda passione.
Ti ricordo per l'ennesima volta che cambiare è possibile. Per tutti, soprattutto per te, che da quando ti conosco (febbraio 2010) hai accumulato una serie di fallimenti indescrivibili. Non c'è tristezza antica che tenga. Non ci sono squame di vecchi fermenti che possano resistere all'urto del del Risorto.
Pasqua, festa che ci riscatta dal nostro pesante passato.
Non per nulla noi la celebriamo spezzando quel pane, che vuole essere per tutti simbolo e ..... "fermento" di novità.
Auguri di Buona Pasqua anche a te che non hai perso l'occasione di tradire ancora una volta.
Mons. Francesco